«Mi ferisce quando la gente mi chiede se preferisco l’Italia o il Pakistan. A casa mia si cucinano piatti della cucina tradizionale dei due paesi, il week end è interamente dedicato alla cucina italiana; in un giorno bevo più caffè che the con latte. Agli occhi di molti pakistani sembro più italiana».
A parlare è Ayesha Saeed, mediatrice culturale di 29 anni, è candidata al consiglio comunale di Gallarate nella lista Officina di cura urbana.
Arrivata in Italia nel 2002, Saheed e la famiglia abitano a Sumirago da quasi vent’anni. «Quando ci siamo trasferiti a Sumirago nel nostro condominio c’era molta diffidenza, eravamo l’unica famiglia straniera», racconta; inoltre si sono trasferiti a poi
Ha studiato nelle scuole italiane fino alla terza media, per poi proseguire gli studi insieme alle sorelle in Pakistan, dove l’ambiente scolastico è molto rigido («abbiamo l’esame di stato oggi anno dopo la fine delle lezioni per accedere all’anno scolastico successivo»).
Saheed ama la letteratura (la sua scrittrice preferita è Virginia Woolf, mentre la poetessa di riferimento è Sylvia Plath), scrive romanzi – dai gialli alla fantascienza – e poesie in italiano e in urdu: recentemente ha lavorato a un giallo che ha come fulcro la violenza sulle donne, una realtà che non appartiene a un paese o a una cultura specifica, bensì «all’uomo, non importa a quale nazionalità o cultura appartenga».
La mediazione culturale nelle scuole
Saheed si è poi laureata in Economia e sociologia in Pakistan e ha acquisito un master in letteratura inglese; parla 4 lingue: urdu, punjabi, italiano e inglese. Al suo rientro in Italia ha prima fatto volontariato nelle scuole e ha iniziato a lavorare come mediatrice culturale nelle scuole di Gallarate, Somma Lombardo, Lonate Pozzolo e Samarate.
Frequenta sia le scuole dell’infanzia sia le elementari e medie, dove insegna a scrivere sotto dettatura e a leggere in italiano secondo una pronuncia corretta: «Faccio esercizi di alfabetizzazione, è importante per loro», visto che molti bambini, seppur nati qua, non avendo frequentato le scuole dell’infanzia arrivano alle elementari “sprovvisti” della conoscenza dell’italiano. «A sei anni i bambini delle famiglie straniere arrivano a scuola e vengono scolarizzati senza sapere la lingua: la scuola dell’infanzia è un costo che molte famiglie non possono permettersi ed è difficile far capire alle madri, che spesso tengono a casa i bambini, far capire loro che quegli anni sono importanti», continua Saheed, che insieme alla lista ha ideato delle attività rivolte alle famiglie straniere (2-3 ore di alfabetizzazione a settimana per bambini e madri).
«Non è un’attività lasciata al caso – continua – insegnare la lingua alle madri significa aprire la strada: molte di loro sono analfabete o non sanno bene l’inglese», lingua “madre” nelle scuole pakistane dopo le superiori. Partire dalle basi, dunque: «In alcune comunità ci sono i corsi di grammatica, ma secondo me bisogna fare un passo indietro partendo dall’alfabetizzazione: se la madre impara la lingua, il bambino assorbirà ciò che ha imparato». Un altro problema risiede, secondo la mediatrice, nel vocabolario scarso dei bambini che parlano nella loro madrelingua: «Spesso non parlano un urdu pulito (la lingua ufficiale del Pakistan insieme all’inglese e all’arabo), ma uno dei tanti dialetti mescolati all’inglese».
Come mediatrice culturale, rappresenta un ponte tra la scuola, i bambini e le famiglie (talvolta anche con i servizi sociali). Se all’inizio viene percepita dai bambini come un elemento estraneo, in poco tempo Saheed diventa un punto di riferimento essenziale per i bambini: «Anche se come insegnante sono severa con me si aprono tanto e grazie a queste conversazioni riscontro eventuali problemi e discriminazioni – sia a scuola sia in famiglia», continua a raccontare. Come alcuni episodi di discriminazione con delle ragazze delle medie, «che non si sentivano accettate. Subivano razzismo dai compagni e, spesso, anche diffidenza da parte delle stesse famiglie di provenienza, che le vedono crescere in maniera diversa».
Entrano nella questione delle discriminazioni, Saheed non può non menzionarne una vissuta in prima persona, poco tempo fa: «Ero al supermercato ma avevo dimenticato la mascherina a casa, in macchina non c’erano quelle di scorta», così si è coperta naso e bocca con parte del suo hijab (il velo islamico che copre i capelli e il collo lasciando scoperto il viso, ndr). «Arrivata alla cassa, un uomo in coda ha cominciato a urlare e mi sono vergognata», continua, rimarcando che aveva soltanto cercato di attenersi alle regole contro la diffusione del Covid-19. «Quando si tratta di noi donne musulmane, tutti si sentono esperti di dire la propria opinione. Se diciamo di essere liberi, perché non posso coprirmi?».
La campagna elettorale attiva e bilingue
Saheed ammette di seguire la politica italiana dal 2013, senza aver mai avuto la possibilità di parteciparvi attivamente. L’occasione è arrivata la scorsa primavera, proprio grazie alla scuola, dove lavora come insegnante la portavoce di Officina Nancy Perazzolo. «Da lei ho avuto l’occasione, mentre la spinta è arrivata dai miei genitori: Nancy mi ha chiesto se conoscessi qualcuno interessato», e si è fata avanti, pur esitante.
[lefoto id=1250217] I santini in italiano e urdu
Una novità interessante rappresentata dalla sua adesione alla lista risulta la campagna elettorale bilingue, dai doppi “santini” scritti in urdu e in italiano, ai video in lingua straniera atti a coinvolgere le famiglie straniere con diritto di voto ad andare alle urne: «Anche se hanno la cittadinanza molte famiglie non votano, spesso perché il sistema elettorale in Italia è diverso dai paesi d’origine, come in Pakistan».
Quanto è importante la tua candidatura per una parte della popolazione che spesso non viene rappresentata? «Le famiglie che ho incontrato sono contente che c’è qualcuno che si candida, poi mi chiedono se abbiamo dei progetti per loro; ma io voglio essere parte attiva dell’amministrazione e contribuire a realizzare tutto il programma elettorale della coalizione di Margherita Silvestrini».
«Questa è la prima volta che la campagna elettorale è veramente attiva e partecipata e la prima in cui la comunità pakistana trova una rappresentazione piena e non riempitiva. Non è uno specchietto per le allodole», commenta a margine Nancy Perazzolo.