Davide Galimberti sarà alla guida della città per altri cinque anni. Un voto che conferma l’amministrazione uscente ma non solo. Da Varese arrivano molte altre indicazioni e in parte le aveva colte bene Raimondo Fassa in una lettera scritta nei giorni scorsi. Il primo “borgomastro” tra i sindaci più giovani era arrivato a governare segnando una svolta netta per la terra che aveva dato i natali al Carroccio. Dai banchi del consiglio comunale Giuseppe Leoni era passato alla storia con i suoi interventi in dialetto. Fassa aveva inaugurato un vero laboratorio politico e a un anno dal suo insediamento la Lega di Bossi sarebbe andata al Governo portando Maroni a fare il ministro dell’Interno.
È passato un secolo, ma l’ex sindaco è voluto tornare a commentare la scena politica parlando nuovamente di un laboratorio politico per la città giardino. Due elementi sono apparsi chiari nelle scelte di Galimberti: l’insistere sull’esperienza di Draghi come punto di riferimento e la conferma di un civismo autentico che aveva già contraddistinto la sua campagna elettorale nel 2016 e poi gran parte dell’azione amministrativa. Insieme con questo alcune prese di posizioni nette rispetto alla pandemia.
La vittoria di Galimberti è figlia di una strategia di lungo respiro e di alcune scelte tattiche. Il sindaco uscente, come era naturale, ha puntato sulla sua azione amministrativa mettendo al centro sempre Varese. Ha allargato al massimo la coalizione fino ad avere otto liste che lo sostenevano senza snaturare l’azione pragmatica che si era dato. Ha dato valore alla sua squadra perdendo per strada solo un pezzo importante della Giunta senza risentire troppo dello strappo del suo ex vice sindaco. Daniele Zanzi non sarà in consiglio comunale, ma il suo contributo critico potrebbe avere un valore per alcuni settori dell’attività amministrativa.
Un’abilità di Galimberti rivelatasi vincente è stata tenere insieme i partiti dal Pd a Italia Viva fino al M5S e le formazioni che contenevano gran parte degli esponenti della sua amministrazione. Il partito di Letta ha raggiunto il massimo storico in una tornata amministrativa varesina trainando il risultato di tutta la coalzione.
Galimberti è andato dritto per la sua strada. Testardo e a tratti ostinato, ma con una forte energia per rimettere in moto una città da troppo tempo ferma. La svolta in campagna elettorale è arrivata la sera della presentazione delle liste all’ippodromo. Arrivarono mille persone per una kermesse molto partecipata che cercava di smontare l’idea di un uomo solo al comando. Tante posizioni, ma poi uno slogan forte, lontano dallo stile moderato a cui si era abituati e che da lì in avanti sarebbe tornato come un ritornello: cento milioni a zero. Vantando la capacità di portare soldi a Varese attraverso bandi regionali, nazionali ed europei. Una scelta che tatticamente gli portò un vantaggio competitivo e che gli avversari hanno faticato a fronteggiare. La “serata verità” al teatrino Santuccio voluta dalla Lega aveva rafforzato anziché smontare quello slogan.
Nel campo del centro destra c’è stato uno sforzo enorme da parte di Matteo Bianchi di recuperare lo svantaggio del tempo perduto dopo che Roberto Maroni aveva dovuto dare forfait per una campagna elettorale mai partita. Malgrado il pragmatismo del parlamentare della Lega, la sua coalizione ha pagato alcune contraddizioni pesanti. Da una parte un martellamento continuo sul degrado, sui parcheggi, sulle buche e su una presunta scarsa sicurezza della città e dall’altra un ricorso continuo a temi politici nazionali. La presenza così ripetuta di leader nazionali a partire da Matteo Salvini non hanno aiutato per niente Bianchi. Il candidato del centrodestra ha potuto lavorare solo in parte sulla costruzione della sua coalizione e da lì si potevano intuire le difficoltà che avrebbero incontrato. Una lettura del voto deve passare anche dall’analisi delle preferenze dei candidati delle liste. Alcuni di questi, anche capolista, hanno preso una manciata di voti. Un segno di poca presa sulla città anche perché poco conosciuti e poco presenti. Non bastano post su Facebook o l’appoggio di qualche media per arrivare a prendere le preferenze. Così come non basta qualche trovata ad effetto passando dai grattacieli in qualche zona della città o a definizioni strampalate che vedrebbero “Varese come la Stalingrado d’Italia” per guadagnare consensi. Situazioni che in più occasione mal si conciliavano con la strategia di Bianchi.
I varesini alla fine hanno votato la continuità e al tempo stesso confermata la volontà di cambiamento.
In tutto questo ha giocato un ruolo non da poco la situazione sociale e sanitaria che sono ai primi posti delle preoccupazioni di tutti. L’elettorato a Varese, come in gran parte delle grandi città, ha valorizzato chi non aveva posizioni ambigue sull’emergenza legata alla pandemia. Emblematico in questo il risultato di Fratelli d’Italia che avrebbero dovuto essere la maggiore sorpresa. Il partito di Giorgia Meloni ha preso meno del sette per cento e a guidare la cavalcata c’era un esponente importante della sanità che a lungo è stato in bilico per essere il candidato sindaco della coalizione.
Ora Galimberti avrà di fronte a sé cinque anni di amministrazione. Un tempo per nulla ordinario perché siamo in una fase cerniera con ancora una pandemia che resta sullo sfondo e dall’altra una occasione storica di ripresa. Arriveranno tante risorse economiche per il recovery fund e soprattutto dovranno partire tanti progetti e altrettanti andranno ultimati. Ci sarà molto da fare avendo di fronte anche una scadenza affascinante che riguarderà solo in parte Varese: le olimpiadi invernali 2026 di Cortina e Milano. E per una città che vuole ragionare in grande non è poco.