Ci stiamo addentrando nel clima delle consultazioni comunali. Le iniziative crescono, così come gli apparentamenti per la formazione di nuove liste, tutte orientate all’elezione di un candidato in possesso di pregevoli caratteristiche, bianche o gialle che siano, per i prossimi cinque anni.
È stato pubblicato da poco, un libro dal titolo “Varese 2051 – Come sarà Varese fra 30 anni“ con le riflessioni di alcuni protagonisti sulle previsioni sociali, economiche, politiche, ambientali. Nella quarta di copertina è scritto che, per ipotizzare gli sviluppi attesi e realizzabili nei prossimi 20/30 anni, dovremo considerare la stretta interconnessione che saremo costretti ad agire con il resto della popolazione del globo. Quanto accadrà in Cina o in America o in qualsiasi altro luogo non potrà che coinvolgere tutti. Creare uno spirito di stretta collaborazione tra le persone, rimane l’obiettivo più importante del nostro futuro.
Programmare solo per le successive cinque annualità è diventato un gioco da infelici. Questo attaccamento al breve periodo ha già causato notevoli danni. Alla classe dirigente e soprattutto ai giovani, chiediamo di riflettere, molto seriamente, sul futuro e sugli impegni di pianificazione a lungo termine. Passare dal luogo comune del fare ad un comportamento più impegnativo, quello dell’agire, presuppone un maggior pensiero nella progettazione e una più ampia condivisione nella realizzazione.
Questo libro intende fornire alcuni spunti di riflessione anche sullo sviluppo degli aspetti sociali, economici, formativi, sanitari del nostro Paese. Pianificare il futuro significa provare a garantire quel clima di correttezza che si conviene ad una comunità in cui gli abitanti nativi e non, si sono sempre distinti per educazione, empatia, solidarietà e accoglienza.
Qualche mese fa il neo segretario di un partito dichiarò: “Non sarò un capo ma il leader di una comunità”. Sul significato dei due vocaboli, Wikipedia dice: Il capo (dal latino caput, “testa” per estensione metaforica) o leader (dal verbo inglese to lead, ‘guidare’), in un gruppo sociale, è chi ricopre un ruolo di comando o di direzione (in inglese leadership), inteso come processo d’influenza sui membri del gruppo per il perseguimento degli scopi comuni. La prima considerazione sembrerebbe orientarci verso un’analogia tra il significato di capo e quello di leader. In realtà, pur esistendo una sottile linea di congiunzione, i significati sono abbastanza diversi.
Un capo ha a sua disposizione pochi modelli culturali di riferimento e tutti lo riconducono al tradizionale utilizzo del “comando”. Parliamo di individui che sviluppano in famiglia, nella realtà militare e anche ecclesiastica, situazioni di rigida gerarchia. Le persone comandate, forse un po’ stanche di limitarsi all’obbedienza, hanno messo sempre più in discussione il modello tradizionale di questo tipo di capo. Inoltre, dopo molto tempo si è capito, almeno nel lavoro, che se un capo tratta i dipendenti con rigidità gerarchica e direttività ottiene una collaborazione minima, indispensabile per evitare una sanzione.
Un capo può essere considerato/valutato secondo l’intensità di attenzione dimostrata nei confronti delle persone e degli obiettivi che raggiunge (risultati):
- se con scarso interesse sia verso le persone che verso gli obiettivi, sarà considerato “lassista”; potrà contare su un clima sereno, risultati casuali, individualismo esasperato;
- se con elevato interesse per le persone e scarso interesse verso gli obiettivi, verrà indicato come: “paternalista”; potrà contare su un clima familiare, risultati ancora casuali, individualismo solidale;
- se con elevato interesse per gli obiettivi e scarso interesse verso le persone verrà definito un “autoritario”; potrà contare su un clima teso e conflittuale, risultati interessanti, individualismo spinto; –
- se con elevato interesse verso le persone e verso gli obiettivi si tratterà certamente di un “autorevole”; potrà contare su un clima adeguato, risultati pianificati, creazione di una buona squadra, rispetto e fidelizzazione.
Possiamo quindi dedurre che solo un capo autorevole può essere considerato anche un leader e questa è la sottile linea di congiunzione di cui parlavo. Ciò che maggiormente e positivamente emerge dalla classificazione appena esposta pare essere l’autorevolezza quale condizione indispensabile per il successo sociale, la cui definizione è: garantire costantemente risultati di rilievo attraverso la valorizzazione delle persone. Per sviluppare l’autorevolezza diventa indispensabile governare/coinvolgere le persone utilizzando le due leve che un leader ha a disposizione: la flessibilità e l’efficacia. La flessibilità perché le persone sono diverse tra di loro, diventa quindi indispensabile poter raggiungere tutti attraverso una comunicazione e un coinvolgimento differenziati. Con efficacia (fare le cose giuste), perché le situazioni in cui si opera, sono ampie e si sviluppano anch’esse in maniera differente, nel tempo e nell’ambiente di riferimento.
https://www.varesenews.it/2021/04/varese-2051-sara-varese-fra-trentanni/1330706/