È lì che aspetta tranquillo gli sviluppi su Varese, un po’ sornione e sorridente come sempre dietro i suoi occhiali rossi. Roberto Maroni è finito di nuovo su tanti media per commentare l’attuale fase politica, ma soprattutto per raccontare cosa sceglierà di fare nelle prossime elezioni comunali nella città giardino.

Intanto continua a lavorare come consulente per diverse aziende e partecipa agli eventi che contano a livello nazionale e locale, come la serata con Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna con cui ha condotto una battaglia per l’autonomia fianco a fianco.

«Ho preso una frase del suo libro che mi ha molto colpito e in cui mi ritrovo. “Sogno una classe dirigente che quando entra in un bar sappia parlare con chi ha di fronte, che è cosa molto diversa da fare discorsi da bar: significa mettersi all’altezza degli occhi delle persone e in sintonia con i loro problemi”. Parole sante, che mi ricordano quando io e Bossi andavamo proprio nei bar a parlare di federalismo e di nord».

Partiamo proprio da Bonaccini per questa nostra intervista. Che cosa rimane del progetto sull’autonomia?

«Bonaccini è un politico abile e coraggioso. Lui, pur non facendo il referendum, aveva fortemente sostenuto il discorso sull’autonomia e si era molto attivato con il Governo. A febbraio 2018 andammo a Roma insieme con Zaia a firmare una pre intesa che definiva le materie che sarebbero passate alle regioni. Un risultato straordinario ottenuto in pochi mesi. Poi ci furono le elezioni e si è bloccato tutto. Tanti proclami ma zero risultati a partire dal governo giallo verde che non ha fatto quello che doveva fare».

Come voterà al prossimo referendum?

«Voterò Si, ma la riduzione dei parlamentari da sola non basta. Se passa il Si è inevitabile fare gli altri passi sul bicameralismo perfetto e sull’elezione diretta del premier come già funziona per il sindaco. Questo garantisce la governabilità. Noi questa riforma l’avevamo fatta nel 2006 cancellando il Senato così come è oggi. Poi non è passata e siamo ancora qui a discuterne».

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A novembre ci sarà un altro impegno elettorale, dall’altra parte dell’oceano. Come vede la corsa per la presidenza degli Stati Uniti?

«Tutti i sondaggi danno Trump perdente e quindi credo che alla fine vincerà lui. Al forum Ambrosetti a Cernobbio hanno organizzato un sondaggio. Interessanti i risultati: Biden ha preso il 40%, qualcun altro il 60%, Trump zero. Ha una ragione perché gli imprenditori vengono penalizzati dalle guerre volute dall’attuale presidente. Ho conosciuto Trump nel 1994 quando ero ministro dell’Interno. Era un incontro con la business unit a New York. Lui è un attore, un uomo di spettacolo. Per noi europei è molto diverso chi vincerà ed è preferibile un presidente meno aggressivo di Trump».

Torniamo alle questioni di casa nostra e in particolare del suo rapporto con Salvini. Non molto tempo fa lei disse: “non posso sopportare di essere trattato con metodi stalinisti”. Oggi come è il suo rapporto con lui?

«Quella frase è vecchia, pronunciata oltre due anni fa quando rinunciai a candidarmi in regione. Con lui c’è un rapporto normale, come ce l’ho con altri politici. L’ultima volta l’ho visto a Cernobbio e ci siamo salutati e parlati. L’ho incontrato a Roma il 30 giugno alla presentazione di un libro e fu lui che tirò fuori l’argomento delle elezioni a Varese chiedendomi: “Ma tu saresti disponibile a fare il sindaco?”Poi c’è chi  alimenta tensioni e fa parte della storia che conosco bene nella Lega».

Se è così perché a Saronno non ha detto che lei potrebbe essere il candidato per palazzo Estense?

«Perché qualcuno gli ha fatto credere che il candidato era già stato deciso e così voleva fare il blitz. La sua affermazione in verità mi ha sorpreso perché immaginavo che la decisione l’avrebbe presa il direttivo della Lega lombarda. Lui invece ha rimesso alla sezione la scelta senza alcuna imposizione».

Chi è questo qualcuno di cui parla?

«Si dice il peccato ma non il peccatore».

Voci dicono che sia Andrea Mascetti quel qualcuno…

«No comment».

Sorride, ma poi riprende a parlare dell’argomento. «Mascetti l’avevo salvato nel 2011 quando Bossi voleva cacciare tutti gli iscritti a Terra Insubre. Io mi opposi dicendogli che sbagliava e che ero iscritto pure io e che quella decisione era suggerita dal cerchio magico. Io ho un rapporto di amicizia con tutti, se c’è da parte di qualcuno un atteggiamento ostile verso di me non so perché accada e comunque non è un problema mio».

Il Comune di Varese per la Lega è sempre stato un simbolo, ma oggi quel partito ha allargato i suoi orizzonti e sembra abbia altri obiettivi. In che misura lo è ancora?

«Era stato detto anche a me, ma non è vero perché Salvini vuole riprendere Varese e la Lega vuole tornare a governare con un sindaco al 100 percento della Lega e non del centrodestra».

Come vede la Lega di oggi?

«La Lega Salvini ha raggiunto risultati elettorali impensabili ai tempi miei e di Bossi. È un partito leaderistico molto più del passato. Manca però un grande progetto di riforma come il federalismo con l’Europa delle regioni, le tre macro regioni di Miglio. Questo limitava la Lega sul territorio perché rappresentava solo il Nord, ma era la passione a spingere a diventare leghista. Questo oggi manca perché la dimensione è diventata nazionale senza un progetto strategico. Ci sono battaglie come la sicurezza, l’immigrazione clandestina, ma il tema forte dell’autonomia è scomparso. Quello è da rivalutare e lo dico da leghista e da ex governatore».

Una Lega tutta sbilanciata a destra…

«Questa è una lettura non corretta. Conta molto più la dimensione territoriale. Il forte consenso arrivava dal Sud vedendo Salvini come il leader del centro destra. Ora si riequilibra con la Meloni. Trovo difficile dire che  Salvini è di destra. È come dire che Renzi è di sinistra. Credo che a livello politico sotto sotto ci sono tanti movimenti che possono portare a diversi scenari possibili che scopriremo dopo il 22 settembre. Il primo, con un risultato alle regionali di parità e netta vittoria del Si, toglierebbe ogni aria di crisi e la legislatura arriverebbe a termine. Il secondo invece se fosse favorevole alla minoranza ci porterebbe al voto in primavera. Se la legislatura arriva al 2023 si aprirebbero scenari politici interessanti perché servirà una nuova legge elettorale, cambiamenti di Forza Italia, nuovo presidente della Repubblica. Ci potrebbe essere uno spazio per la nascita di una forza politica di centro che riprenda molti dei temi aperti. Nel secondo scenario il centro destra trionferà».

Sembra quasi che lei preferisca il primo scenario…

«No… io parlo con le imprese e quello che vogliono è un governo stabile. Altrimenti investono altrove. In un paese che è in continua crisi politica non investono. Rappresento la voce di chi chiede stabilità. Poi la passione politica mi dice il contrario perché io vengo dal centro destra».

Sembra piacere di più agli alleati che al suo partito, come mai?

«Parliamo di Varese, perché a livello nazionale ho ottimi rapporti con tutti. La mia città è fatta anche di piccoli interessi personali. Le dinamiche locali sono di nessun significato politico. Io ho fatto una scelta due anni fa ed è quella di cambiare vita. Sono uscito per una mia decisione. Sto facendo cose che mi piacciono e la politica è passione. Non voglio ricoprire ruoli istituzionali o tornare a Roma. L’unica fiammella è quella accesa da Salvini pensando di candidarmi a Sindaco. Questa sarebbe una decisione contro i miei attuali interessi ma sarebbe un gesto d’amore per la mia città».

Allora si candida?

«Io ho dato la mia disponibilità e quello che mi auspico per poter correre e diventare sindaco è nessuna guerriglia interna e un centrodestra unito senza ambiguità. Se volessi tornare a fare politica nazionale non avrei bisogno di fare il sindaco di Varese».

L’attuale situazione però sembra in stallo. Cosa deve succedere ora?

«Vedremo. Non voglio che si spacchi la sezione di Varese e che partano lotte tra le forze politiche. C’è troppo personalismo e non c’entra la politica. Questa estate c’è stata una riunione con alcuni militanti della sezione nel corso della quale Bianchi ha annunciato che lui non era più il candidato. Qualcuno ha approfittato per far passare una posizione che gradiva la Bison. Credo che si debba arrivare a una decisione con unanimità. So che non è facile, ma altrimenti non mi interessa».

Avrebbe davvero voglia di lavorare? Perché fare il sindaco è anche sacrificio…

«Lo so cosa significa e dovrei di nuovo cambiare vita. Devo decidere se far prevalere la mia attività professionale che mi piace o la passione politica. Farei il sindaco a tempo pieno e non avrei più vita privata, senza grandi guadagni se non la soddisfazione di fare una cosa che mi piace».

A proposito di vita privata, come mai ha ancora la scorta?

«Non è una mia decisione. Scadeva a giugno, ma il Viminale me l’ha riconfermata fino a gennaio dicendomi: “la mafia non dimentica”. In effetti quando ero ministro avevamo dato colpi pazzeschi portando via molti beni alla criminalità organizzata e questo non gli ha fatto piacere e l’ha indebolita».

Come è stato fare il consigliere comunale?

«Oggi è un ruolo che non ha grande potere. Approva poche cose, tante discussioni e tante polemiche. Giustamente la capacità di decidere è nelle mani del sindaco e della Giunta».

Che giudizio ha dell’amministrazione Galimberti?

«Sento giudizi contrastanti anche se prevalgono quelli negativi. Mi pare che abbia difettato nelle decisioni di cose da fare bloccando i progetti della Giunta Fontana, come la caserma e le stazioni. Adesso si  muove per correre ai ripari. Ha una debolezza nella maggioranza divisa e lui non ha il piglio del decisore. In ogni caso questo anno farà cose che lo renderanno popolare perciò non lo sottovaluto e sarebbe un errore darlo per sconfitto».

Lei cosa farebbe con il progetto delle stazioni?

«Lo farei, i soldi ci sono e va portato  a termine. Un sindaco deve farsi sentire al di là della burocrazia».

E sul palaghiaccio?

«Quella è una storia di ritardi e non si può lasciare fare alla burocrazia. Il sindaco deve guidare lui perché altrimenti c’è sempre paura a decidere. Il palaghiaccio  sarà chiuso per questo inverno e si perderà la stagione. Lo dico con rammarico perché mia nipote sarà costretta ad andare a Milano ad allenarsi. Andava creata subito un’altra pista»

Il teatro Politeama?

«È una struttura interessante e storica, ma non credo abbia la possibilità tecnica per farci il teatro. È una questione logistica perché non ci sono gli spazi.  Non c’è stata evoluzione in questi quattro anni. Tanti annunci ma nessuna visione».

Un’ultima domanda sul suo successore in Regione e il lavoro fatto durante la crisi…

«Non credo che  avrei fatto cose diverse da Fontana. È scoppiata una guerra terribile, ma il nemico non lo vedevi. Sono stati momenti terrificanti. Avrei gestito diversamente la comunicazione, ma sulle cose importanti difendo quanto fatto. Assolvo con formula piena dalle accuse infondate mosse a Fontana e Gallera».